Cassazione civile, sezione lavoro, ordinanza n. 26694 del 10/11/2017 [Leggi la sentenza]
Redatto dalla dott.ssa Sabrina Mazzocca
“In tema di impiego pubblico privatizzato, nell’ambito del quale anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall’amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, le norme contenute nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 1, obbligano l’Amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 c.c.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.. Tali norme (…) obbligano la P.A. a valutazioni comparative, all’adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificativi delle scelte; laddove, pertanto, l’amministrazione non abbia fornito nessun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella selezione dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre un danno risarcibile”.
La Suprema Corte, nel pronunciarsi sul ricorso proposto dal Comune di Roma, ritiene infondate le doglianze proposte contro la sentenza della Corte d’Appello che aveva respinto l’appello nei confronti della sentenza del Tribunale che, accogliendo intergralmente il ricorso presentato dal lavoratore, aveva ritenuto illegittime le ordinanze sindacali con le quali, in assenza di ogni qualsivoglia valutazione comparativa, erano stati conferiti incarichi dirigenziali e aveva condannato l’amministrazione al risarcimento del danno da perdita di chance.
La Pubblica amministrazione, infatti, quando agisce con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato è tenuta al rispetto degli obblighi di buona fede e correttezza, con un’intensità addirittura maggiore di quanto è dato attendersi dalla generalità dei consociati.
Più in particolare, quindi, il rispetto degli artt. 1175 e 1375 c.c. è ostativo della possibilità di affidare gli incarichi dirigenziali su basi meramente fiduciarie, senza estrinsecare le motivazioni che inducono a scegliere un soggetto rispetto ad altri, parimenti dotati delle competenze richieste.
L’inadempimento di tali obblighi, di conseguenza, espone l’amministrazione all’azione di risarcimento del danno, intesa quale forma minimale di tutela, a fronte dell’impossibilità da parte del giudice di operare un intervento sostitutivo volto all’attribuzione dell’incarico.
La giurisprudenza, difatti, ritiene che, sebbene non sia ravvisabile alcune diritto soggettivo al conferimento dell’incarico, non si può negare che ricorra un interesse legittimo di diritto privato a che la pubblica amministrazione si attenga ai principi di imparzialità, efficienza e buon andamento.
In tali ipotesi, il danno risarcibile non può che essere quello da perdita di chance. Per tale motivo, il lavoratore deve offrire degli elementi che inducano il giudice a ritenere concreta la probabilità dell’esito positivo della selezione e, solo in un secondo momento, in base agli elementi acquisiti, il giudice potrà procedure alla liquidazione del quantum debeatur in via equitativa.