Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza n.1997 del 26/01/2017 [Leggi provvedimento]
Redatto dal Dott. Marco Noceta
Con un recente pronunciamento, la Suprema Corte di Cassazione sez. Lavoro ha statuito che, anche nel caso di interposizione fittizia di un terzo soggetto, nel rapporto di lavoro intercorrente tra lavoratore e datore, le direttive impartite da quest’ultimo, solo formalmente estraneo, rappresentano “elementi certamente idonei alla riconduzione del rapporto di cui è causa allo schema di cui all’art. 2094 c.c., posto che tali elementi denotano un assoggettamento del lavoratore al potere direttivo ed organizzativo del datore di lavoro tipico di tale figura contrattuale” (Cass. Sez. Lavoro sent. n. 1997/2017).
Nel caso in esame la lavoratrice ricorreva in via giudiziale, al fine di vedere riconosciuto il rapporto di lavoro subordinato nei confronti dell’effettivo datore di lavoro Coop Lombardia, seppur la stessa fosse stata assunta formalmente da altra società, con contratto a progetto.
In entrambi i gradi del giudizio di merito, sia il Tribunale che la Corte d’Appello accoglievano la domanda della ricorrente, ritenendo infatti sussistente una interposizione fittizia tra la lavoratrice e la Coop, esplicatasi nell’assunzione della medesima da altra società, benché la prestazione lavorativa fosse avvenuta all’interno del supermercato gestito dalla cooperativa. Difatti, la Corte territoriale rilevava che la Coop avesse agito come effettivo datore di lavoro, in quanto nel corso dell’istruttoria era emerso che fossero i dipendenti della Coop ad impartire “le direttive di lavoro stabilendo quali erano i prodotti in offerta ed il relativo prezzo, effettuando i controlli ed impartendo disposizioni, oltre a stabilire i turni e la pause, lamentandosi per le inosservanze”, comportandosi quindi come il vero datore di lavoro.
Avverso tale decisione, la Coop Lombardia proponeva ricorso per Cassazione, deducendo, tra gli altri motivi, la violazione dell’art. 2094 c.c., non sussistendo nel caso in esame i presupposti, come fissati dalla giurisprudenza della Corte di legittimità, per affermare la natura subordinata del rapporto.
Con sentenza n. 1997/2017 la Suprema Corte, partendo dal presupposto che per costante giurisprudenza la qualificazione del rapporto spetta al Giudice di merito, la cui rivalutazione del fatto, purché adeguatamente motivata, è preclusa in sede di giudizio di legittimità, e visto che sul punto sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno ritenuto che in realtà, nonostante gli accordi tra le società, si fosse svolto un rapporto di lavoro di natura subordinata tra la lavoratrice e la Coop, ha confermato nel caso de quo la natura di rapporto di lavoro subordinato ex art. 2094 c.c.
Ciò in quanto gli elementi emersi, precedentemente individuati e provati nel corso del giudizio di merito, tutti riconducibili ai dirigenti del supermercato in questione, sono stati ritenuti “idonei alla riconduzione del rapporto di cui è causa allo schema di cui all’art. 2094 c.c., posto che tali elementi denotano un assoggettamento del lavoratore al potere direttivo ed organizzativo del datore di lavoro tipico di tale figura contrattuale”.
Orbene è pressoché pacifico che la caratteristica che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato dal lavoro autonomo, “è costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore, con assoggettamento del prestatore di lavoro al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, ed al conseguente inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale con prestazione delle sole energie lavorative corrispondenti all’attività di impresa” (Cass. sez. lav., 8 maggio 2009, n. 10629).
La presenza di tale potere direttivo, quindi, così come avvenuto nel caso esaminato dalla sentenza citata, è idoneo a ricondurre il rapporto di lavoro nell’alveo dell’art. 2094 c.c., con ogni eventuale conseguenza in relazione alla tutela offerta al lavoratore subordinato.