Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza n.21506 del 15/09/2017 [Leggi provvedimento]
Redatto dal Dott. Francesco Faiello
“Il giudizio di proporzionalità tra fatto addebitato al lavoratore e licenziamento disciplinare non va effettuato in astratto, bensì con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto. Pertanto, esso è incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e logica motivazione.”
La sentenza numero 21506 del 15 Settembre 2017, emanata dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, ha deciso su un ricorso presentato da un dipendente che, in presenza di colleghi e clienti, aveva ingiuriato il datore di lavoro con grave danno all’immagine aziendale.
Questi, licenziato in seguito all’episodio, proponeva ricorso attraverso la deduzione di due motivi. In primis, si doleva del fatto che la Corte di merito avesse operato una descrizione di natura meramente formale della condotta addebitata e, come tale, inidonea a chiarirne l’effettiva portata; in secundis, il ricorrente lamentava un atteggiamento provocatorio e discriminatorio nei suoi confronti, visto il considerevole ritardo con cui era stato disposto il pagamento di una retribuzione.
Gli Ermellini, per contro, dichiarando inammissibili i due motivi e, ritenendo la sussistenza della giusta causa di licenziamento, nonché della proporzionalità tra fatto e sanzione espulsiva, hanno sottolineato che “il giudizio di proporzionalità tra fatto addebitato al lavoratore e licenziamento disciplinare non va effettuato in astratto, bensì con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, alla entità della mancanza, ai moventi, all’intensità dell’elemento intenzionale ed al grado di quello colposo”.
Inoltre, la Corte ha affermato che il comportamento oggetto di sanzione non va considerato solo da un punto di vista oggettivo, ma va analizzato anche in chiave soggettiva ed in relazione al contesto in cui esso è stato posto in essere, tenendo conto, in sostanza, della sua pregnante portata lesiva, considerando l’immagine aziendale ed anche il modello diseducativo per i colleghi più giovani.
Ne consegue che ogni accertamento richiede grado e crisma del sindacato di merito.
La Corte di Cassazione, allora, condividendo le censure dell’Assise territoriale, ha respinto il ricorso del lavoratore e ne ha confermato il licenziamento.